martedì 21 febbraio 2012

Impresa familiare: aspetti civilistici e fiscali

L'articolo 230-bis del codice civile, introdotto dalla L. 151/1975 (cosiddetta riforma del diritto di famiglia) disciplina un nuovo modello di attività imprenditoriale: l'impresa familiare, ovvero l'impresa, agricola o commerciale in cui il contributo lavorativo dei familiari è finalmente riconosciuto e tutelato rispetto alla condizione di predominanza dell'imprenditore-capofamiglia. La norma civilistica statuisce che: a meno che non «sia configurabile un diverso rapporto, il familiare che presta in modo continuativo la sua attività di lavoro nella famiglia o nell'impresa familiare ha diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia e partecipa agli utili dell'impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell'azienda, anche in ordine all'avviamento, in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato. Il lavoro della donna è considerato equivalente a quello dell'uomo. […] si intende come familiare il coniuge, i parenti entro il terzo grado, gli affini entro il secondo; per impresa familiare quella cui collaborano il coniuge, i parenti entro il terzo grado, gli affini entro il secondo».

L'impresa familiare rappresenta un istituto civilistico residuale nel senso che opera solo laddove l'attività svolta dal familiare non possa essere configurata come altro tipo di rapporto (associativo, di lavoro subordinato, di lavoro autonomo nella forma dell'associazione in partecipazione ecc. cfr. Cass. 24 marzo 2000 n. 3520) ma d'altro canto se tale condizione residuale viene effettivamente riscontrata allora la disciplina dell'articolo 230-bis si caratterizza come assolutamente inderogabile, cioè nessuno può contestare che si tratta di un'impresa familiare. Come accennato in precedenza, la norma civilistica in esame ha inteso offrire una sorta di tutela giuridica ai familiari dell'imprenditore che troppo spesso rischiano di essere costretti ad una collaborazione informale e anonima che li vuole, per questo, privi di ogni diritto e di ogni facoltà decisoria. All'interno dell'impresa familiare i collaboratori possono contare sulle seguenti prerogative:
a) diritto al mantenimento secondo le condizioni patrimoniali della famiglia;
b) diritto di partecipazione agli utili e ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell'azienda;
c) diritto di prelazione sui beni aziendali in caso di cessione o divisione ereditaria;
d) diritto di voto nelle decisioni che riguardano l'amministrazione straordinaria dell'impresa;
e) democraticità delle decisioni che devono essere assunte a maggioranza dei membri familiari;
f) non rispondono con il patrimonio personale per le obbligazioni contratte dall'imprenditore nell'esercizio dell'impresa.
 

Occorre notare che il lavoro prestato dai collaboratori familiari può essere di varia natura, ma deve pur sempre riguardare l'attività d'impresa rimanendo perciò escluso dall'ambito in esame il lavoro meramente domestico e casalingo del coniuge, come hanno precisato alcune pronunce giurisprudenziali.

ASPETTI FISCALI

Il legislatore tributario si occupa delle imprese familiari nel Tuir ai commi 4 e 5 dell'articolo 5: «I redditi  delle imprese familiari di cui  all'art.  230  bis  del  c.c., limitatamente   al  49%   dell'ammontare  risultante  dalla  dichiarazione dei redditi  dell'imprenditore,  sono  imputati a  ciascun  familiare,  che  abbia prestato   in  modo   continuativo  e  prevalente  la  sua attività di lavoro nell'impresa,  proporzionalmente alla  sua quota di partecipazione agli utili. La presente disposizione si applica a condizione:
a) che i  familiari partecipanti all'impresa risultino  nominativamente,  con l'indicazione   del rapporto  di parentela o di affinità con l'imprenditore, da  atto pubblico  o da scrittura privata autenticata anteriore all'inizio del periodo   d'imposta,   recante   la  sottoscrizione dell'imprenditore  e  dei familiari partecipanti;
b) che  la   dichiarazione dei redditi dell'imprenditore rechi l'indicazione delle   quote  di partecipazione  agli  utili  spettanti  ai   familiari   e l'attestazione   che  le   quote  stesse sono  proporzionate  alla qualità e quantità   del  lavoro   effettivamente   prestato nell'impresa   in   modo continuativo e prevalente, nel periodo d'imposta;
c) che ciascun  familiare attesti,  nella propria dichiarazione dei redditi, di   aver  prestato   la  sua  attività  di  lavoro  nell'impresa   in   modo continuativo e prevalente. Si  intendono   per  familiari,  ai  fini  delle imposte sui redditi,  il coniuge,  i parenti  entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado
».
 
Dal punto di vista fiscale, i caratteri salienti dell'impresa familiare sono i seguenti:
a) l'impresa familiare e i familiari che vi partecipano devono risultare da atto pubblico o scrittura privata autenticata, quindi è necessario passare prima di tutto dallo studio del notaio (purtroppo!);
b) l'imprenditore non può dichiarare meno del 51% del reddito prodotto dall'impresa familiare;
c) fino alla quota residuale del 49% il reddito può essere imputato ai familiari;
d) il collaboratore familiare deve aver prestato la sua attività di lavoro nell'impresa in modo continuativo e prevalente ed indicarlo nella sua dichiarazione dei redditi, ciò vuol dire che difficilmente potrà inquadrarsi come impresa familiare quella in cui i partecipanti lavorano fuori dall'impresa familiare come dipendenti per otto ore al giorno;
e) nella dichiarazione dei redditi dell'imprenditore vanno indicate le quote di partecipazione agli utili spettanti a ciascun familiare;
f) l'Irap la paga l'imprenditore;
g) le somme liquidate dall'imprenditore al familiare per il suo eventuale recesso sono esentasse, quindi il familiare non ci paga niente! (cfr. Risoluzione Agenzia delle Entrate 176/2008).

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