Questo
articolo risponde sicuramente alla domanda Come chiudere la
partita iva? ma vuole dire anche
molto di più. Perché quando si decide di porre fine ad un'attività
economica condotta in forma d'impresa è inevitabile affrontare
almeno due problemi, di cui uno a volte irrisolvibile. Il primo,
quello che desta meno preoccupazioni è quello fiscale,
il secondo potrebbe essere di natura morale soprattutto
quando le condizioni esterne impongono all'imprenditore nessun'altra
soluzione se non la chiusura del sipario. Fortunatamente io anche
questa volta scrivo della questione fiscale che mai come in questo caso
particolare può essere definita come un argomento piacevole!
Occorre innanzitutto fissare il concetto che l'orientamento maggioritario della giurisprudenza tributaria fa valere il primato della sostanza sulla forma.
Occorre innanzitutto fissare il concetto che l'orientamento maggioritario della giurisprudenza tributaria fa valere il primato della sostanza sulla forma.
Ciò significa che la cessazione dell'attività d'impresa rileva da
una situazione fattuale caratterizzata dalla completa
inattività dell'imprenditore
che potrà realizzarsi solo dopo la fase liquidatoria durante la
quale si alienano tutti i beni dell'azienda e si regolano tutti i
rapporti commerciali con i terzi.
In
effetti la fase di liquidazione costituisce ancora un momento di
esercizio dell'impresa. Il comma 4 art. 35 del decreto Iva 633/1972
stabilisce che: «In
caso di cessazione dell'attività il termine per la presentazione
della dichiarazione [di cessazione n.d.a.] decorre dalla
data di ultimazione delle operazioni relative alla
liquidazione dell'azienda, per le quali rimangono ferme le
disposizioni relative al versamento dell'imposta, alla fatturazione,
registrazione, liquidazione e dichiarazione».
A questo punto è
necessario affrontare il tema in parola secondo che si tratti di
imprese svolte in forma individuale ovvero societaria.
Cessazione dell'impresa individuale
A
differenza di quanto previsto per le società commerciali, il
legislatore non impone necessariamente la fase di liquidazione
dell'azienda individuale. Evidentemente l'elemento discriminante è
rappresentato dall'autonomia
patrimoniale di
cui godono i soggetti societari e che manca in caso di impresa
individuale con la conseguenza che l'imprenditore che ha contratto
debiti e crediti e che coincide esattamente con la persona fisica che
porta il suo stesso nome e cognome è obbligato
a rispondere dei fatti dell'azienda con tutto il suo patrimonio
personale.
Ecco dunque che risulta non indispensabile una fase di liquidazione
che faccia il punto delle risorse finanziarie disponibili giacché
nel caso dell'imprenditore individuale il risultato è già scritto:
TUTTE! Ma ancor più del legislatore è la pratica quotidiana che in
questo caso detta le regole dal momento che molto spesso capita che
l'imprenditore individuale decida di cessare di fatto lo svolgimento
dell'attività lavorativa e contestualmente di chiudere la partita
iva senza però aver liquidato i beni aziendali o dopo aver
affrontato una liquidazione parziale. In questi casi si configura una
fuoriuscita dei
beni aziendali non liquidati
dal regime fiscale d'impresa con conseguente obbligo di imposizione
fiscale dei ricavi e delle plusvalenze ai fini Irpef, Irap e Iva
mediante il meccanismo dell'autofattura.
Successivamente alla fuoriuscita per autoconsumo o comunque per
destinazione a finalità estranee, la piena titolarità dei beni sarà
appannaggio dell'ex-imprenditore inteso come persona fisica sicché
tutte le operazioni poste in essere d'ora in avanti sconteranno
un'imposizione fiscale che può essere quella riservata ai redditi
fondiari o ai redditi diversi ma non certo ai redditi di impresa. A
questo proposito è utile riportare la risposta dell'Agenzia delle
Entrate fornita in occasione di un incontro con la stampa
specializzata e raccolta nella Circolare 54/E del 2002: «D.
Un imprenditore individuale, in seguito alla cessazione dell’attività
ha liquidato
l’azienda, senza tuttavia realizzare tutti i cespiti. Si chiede se
per i beni invenduti che l’imprenditore trattiene presso di se
inutilizzati in attesa di trovare acquirenti, scatti l’imponibilità
per autoconsumo, oppure sia legittimo ritenere che la liquidazione
non sia ancora ultimata e continuare, quindi a presentare
dichiarazione Iva ? Nel caso in cui si trattasse di un immobile
strumentale, l’eventuale locazione a terzi integrerebbe autoconsumo
oppure i canoni sarebbero soggetti ad Iva?
R.
L’articolo 35 del d.p.r. n. 633/72 stabilisce che nell’ultima
dichiarazione annuale Iva si deve tener conto anche dell’imposta
dovuta [per autoconsumo o destinazione dei beni a finalità estranee
a quelle d'impresa n.d.a.] intendendo a quest’ultimo proposito che
l’operazione di autoconsumo deve considerarsi effettuata alla data
di cessazione dell’attività, coincidente con la data di chiusura
delle operazioni di liquidazione desumibile anche dai comportamenti
concludenti posti in essere dal contribuente, posto che a partire
dalla stessa i beni devono considerarsi acquisiti al consumo
personale o familiare ovvero destinati a finalità estranee
all’esercizio d’impresa. L’eventuale locazione a terzi di un
immobile dopo la cessazione dell’attività e quindi dopo
l’acquisizione dello stesso, tramite l’applicazione dell’imposta
all’autoconsumo esterno, nel patrimonio personale dell’imprenditore
cessato, esula quindi dal campo di applicazione dell’Iva».
Infine
rispetto ai rapporti di credito e debito, anche verso l'Erario,
rimasti irrisolti dopo la cessazione dell'attività non si
configurano scenari degni di nota poiché la persona fisica
ex-imprenditore continua ad essere obbligato per i debiti contratti
durante l'esercizio dell'impresa nonché beneficiario dei crediti non
ancora riscossi (anche rimborsi di imposte versate in eccedenza).
Cessazione dell'impresa societaria
Innanzitutto
è necessario sfatare un mito: per
chiudere una società non serve il notaio! Tuttavia
è più corretto dire che in seguito alla riforma del diritto
societario intervenuta con il d.lgs. 6/2003 i casi in cui è
necessario ricorrere all'atto notarile per estinguere il soggetto
societario sono davvero pochissimi. Da quella data in avanti infatti
hanno acquisito sempre di più importanza le comunicazioni
obbligatorie al Registro delle Imprese tenuto dalle Camere di
Commercio. In questo modo ancora una volta è stato sottolineato il
ruolo
superfluo del notaio
nelle vicende commerciali e aziendali che già oggi possono trovare
una forma di certificazione e pubblicità nelle iscrizioni in Camera
di Commercio. Insomma un punto a favore dei cittadini nella partita
contro le caste (un'altra marcatura poteva essere segnata con le
società semplificate per gli under
35 nella versione in cui si poteva evitare l'intervento del notaio...
ma sappiamo come è andata a finire).
Evidentemente,
a differenza di quanto detto per le imprese individuali, nel caso di
imprese societarie è importantissimo darsi una regola ben precisa
per definire il momento in cui il soggetto non esiste più. Come
anticipato poco sopra negli ultimi anni la cancellazione presso il
Registro delle Imprese sembra essere l'adempimento rilevante in
assoluto. È molto utile riportare il contenuto della Risoluzione
77/E del 27 Luglio 2011 con cui l'Agenzia delle Entrate chiarisce
numerosi aspetti della cessazione di una società.
A
seguito della modifica dell’art. 2495 c.c., introdotta con il
citato d.lgs n. 6 del 2003, in seno alla Corte di
Cassazione si sono manifestati due diversi orientamenti in ordine
agli effetti della cancellazione della società dal registro delle
imprese. Secondo un primo indirizzo (più datato nel tempo),
la cancellazione della società dal registro delle imprese, data la
sua efficacia meramente dichiarativa, non determinava l’estinzione
della società laddove non fossero esauriti tutti i rapporti
giuridici ad essa facenti capo, con la conseguente permanenza della
capacità processuale della società e della rappresentanza degli
organi che la rappresentavano prima della cancellazione.
A
tale interpretazione si richiamavano le risoluzioni n. 120 del 1
giugno 2007 e 105 del 21 aprile 2009. Recentemente,
con quattro sentenze a sezioni unite, la Suprema Corte, attribuendo
natura costitutiva alla cancellazione della società dal registro
delle imprese, ha affermato l’opposto principio della irreversibile
estinzione della società anche in presenza di rapporti non definiti.
Alla medesima conclusione la Corte di Cassazione è giunta
con riferimento alle società di persone, riconoscendo al novellato
art. 2495 c.c. “un effetto espansivo”, nonostante, in
questo caso, la natura dichiarativa della cancellazione. Circa il
termine di decorrenza degli effetti della cancellazione, quest’ultimo
è stato individuato nel momento di entrata in vigore della legge (1°
gennaio 2004) per le cancellazioni già avvenute in precedenza e
nella data di cancellazione dell’iscrizione per le cancellazioni
successive all’entrata in vigore della legge. (Cass. SS.UU. 22
febbraio 2010, n 4060; Cass. SS.UU. 22 febbraio 2010, n 4061Cass. SS.
UU. 22 febbraio 2010, n. 4062; Cass. SS.UU. 9 aprile 2010, n. 8426).
Dal punto di vista fiscale si è posto, tra l’altro, il problema
della gestione delle sopravvenienze attive che dovessero emergere a
seguito dell’estinzione della società, così come quello
dell’esecuzione dei rimborsi d’imposta. Il primo profilo non è
stato né disciplinato dal legislatore (che all’art. 2495 c.c. si
occupa soltanto delle sopravvenienze passive), né affrontato dalla
Corte di Cassazione, cosicché la dottrina ha tentato di individuare
una soluzione. In particolare, taluni hanno ipotizzato la necessità
della nomina di un curatore speciale, deputato al completamento delle
attività non ultimate da liquidatore prima della cancellazione,
venendosi a creare una situazione simile a quella dell’eredità
giacente, come tipicamente nel caso di patrimonio alla ricerca di un
titolare; altri, invece, hanno invocato il potere del giudice del
registro di “cancellare la cancellazione”, poiché la
cancellazione sarebbe stata effettuata in difetto delle condizioni
richieste dalla legge; altri ancora, infine, sostengono la tesi
secondo cui sui beni mobili e immobili non liquidati, una volta
cancellata ed estinta la
società, si forma una comunione tra gli ex soci per quote uguali a
quelle di liquidazione.
Tale
ultima interpretazione è peraltro condivisa dalla scrivente, nel
senso che si è dell’avviso che gli elementi patrimoniali attivi
non compresi nel bilancio di liquidazione in quanto non conoscibili a
quella data, devono essere attribuiti proporzionalmente ai soci, tra
i quali si instaura un rapporto di comunione ordinaria ai sensi
dell’art. 1100 del c. c., simile, in linea generale, a quello degli
eredi.
Con
riferimento, invece, ai rimborsi d’imposta, l’art. 5 del D.M. 26
febbraio 1992 stabilisce che il rimborso IVA spettante alla società
cancellata dal registro delle imprese può essere eseguito al
liquidatore “nella sua qualità di rappresentante legale della
società in fase di estinzione”, se il credito di imposta sia stato
evidenziato nel bilancio finale di liquidazione, depositato nella
cancelleria del tribunale. Tale disposizione deve, tuttavia, essere
inquadrata nel contesto normativo antecedente la modifica della norma
del codice civile che disciplina gli effetti della cancellazione dal
registro delle imprese delle società di capitali, e della
interpretazione che ne hanno dato le Sezioni Unite della Corte di
Cassazione. Con l’irreversibile estinzione della società, infatti,
viene a mancare il soggetto al quale, ai sensi del citato art. 5,
l’ufficio potrebbe eseguire il rimborso, in quanto non può esservi
rappresentante legale di un soggetto estinto. Ciò posto, anche con
riguardo ai rimborsi possono applicarsi i principi sopra enunciati
per gli elementi patrimoniali attivi, con le conseguenza che, come
avviene per le società di persone, può essere riconosciuta
direttamente ai soci la titolarità del diritto al rimborso, pro
quota, delle imposte. Circa il soggetto cui materialmente eseguire i
rimborsi, con circolare n. 255 del 2000, è stato chiarito, in
relazione ai soci di società di persone cessate, che il conferimento
di una delega ad un solo socio per la riscossione del rimborso non
costituisce un obbligo, bensì una mera facoltà. Tuttavia, tenuto
conto della compagine sociale delle società di capitali, spesso
costituita da un numero considerevole di soci, si ritiene opportuno
il conferimento di una delega alla riscossione ad uno di essi o ad un
terzo, al fine di evitare l’erogazione del rimborso a ciascun socio
in proporzione alle quote sociali. In questa prospettiva, si è del
parere che i soci titolari del diritto al rimborso potrebbero
delegare all’incasso lo stesso ex liquidatore, previa comunicazione
della predetta delega al competente ufficio dell’Agenzia delle
Entrate. Sicuramente non si può
dire che la risoluzione appena riportata non sia sufficientemente
esplicativa.
Riepilogando
per la cessazione della società è necessario seguire un iter
preciso che prevede l'obbligatorietà della liquidazione con la
redazione di particolari bilanci sociali prescritti dal legislatore
e, una volta risolti tutti i rapporti pendenti e alienati tutti i
beni aziendali, la cancellazione presso il Registro delle Imprese.
L'unica questione meritoria di approfondimento rimane la
responsabilità dei singoli soci per le vicende che dovessero venire
a galla dopo la fase formale di cessazione. Il documento dell'Agenzia
delle Entrate fornisce un quadro molto comprensibile sul punto ma è
molto più interessante sapere cosa ne pensa il legislatore che si
occupa della responsabilità della società con l'articolo 2495 del
codice civile e con l'articolo 36 del d.p.r. 602/1973. In particolare
il secondo stabilisce che: «I liquidatori
dei soggetti all'imposta sul reddito delle persone giuridiche che
non adempiono all'obbligo di pagare, con le attività
della liquidazione, le imposte dovute per il periodo della
liquidazione medesima e per quelli anteriori rispondono
in proprio del pagamento delle imposte se soddisfano
crediti di ordine inferiore a quelli tributari o assegnano beni ai
soci o associati senza avere prima soddisfatto i crediti
tributari. Tale responsabilità è commisurata all'importo dei
crediti di imposta che avrebbero trovato capienza in sede
di graduazione dei crediti. La disposizione contenuta
nel precedente comma si applica agli amministratori
in carica all'atto dello scioglimento della società
o dell'ente se non si sia provveduto alla nomina dei
liquidatori. I soci o associati, che hanno ricevuto nel
corso degli ultimi due periodi di imposta precedenti alla messa in
liquidazione danaro o altri beni sociali in assegnazione
dagli amministratori o hanno avuto in assegnazione beni
sociali dai liquidatori durante il tempo della
liquidazione, sono responsabili del pagamento delle imposte dovute
dai soggetti di cui al primo comma nei limiti del valore dei
beni stessi, salvo le maggiori responsabilità stabilite dal
codice civile. Le responsabilità previste dai commi precedenti
sono estese agli amministratori che hanno compiuto nel
corso degli ultimi due periodi di imposta precedenti alla messa in
liquidazione operazioni di liquidazione ovvero hanno occultato
attività sociali anche mediante omissioni nelle scritture
contabili».
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