Il
Titolo II, Capo II del decreto legge 30 agosto 1993, n. 331,
convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, numero 427
reca la disciplina dell'imposta sul valore aggiunto rispetto agli scambi di beni e servizi che avvengono tra operatori residenti in diversi Stati Membri dell'UE. La normativa europea confluita nel decreto legge citato
poc'anzi prevede il pagamento dell'imposta sul valore aggiunto nel
paese di destinazione attraverso il sistema del reverse-charge
ovvero dell'inversione contabile che si sostanzia come segue: i) chi
emette la fattura non addebita l'Iva; ii) chi riceve la fattura
integra la fattura aggiungendoci di suo pugno l'Iva calcolata con
l'aliquota nazionale e la registra in entrambi i registri Iva
cosicché l'imposta si annulla. Fino a pochi mesi fa tutti i
contribuenti italiani potevano liberamente beneficiare di questo
meccanismo di applicazione dell'Iva. Dalla seconda metà del 2010
invece la possibilità di assolvere l'Iva con il reverse-charge
è subordinata alla previa inclusione nel VIES VAT
Information Exchange System, un
sistema di scambi automatici di informazioni tra le autorità fiscali
dell'Unione Europea che ha lo scopo di monitorare i soggetti passivi
che pongono in essere operazioni intracomunitarie.
Il
recente decreto legge 78/2010, convertito dalla legge 122/2010, ha
apportato consistenti novità al cosiddetto decreto Iva 633/72 in
conseguenza delle quali i contribuenti che vogliano intrattenere
rapporti economici con controparti europee devono, come anticipato
prima, ottenere la preventiva autorizzazione dell'amministrazione
fiscale. In particolare l'articolo 35 del decreto Iva stabilisce che:
- dal modello di richiesta di attribuzione del numero di partita Iva deve risultare «per i soggetti che intendono effettuare operazioni intracomunitarie di cui al Titolo II, Capo II del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, la volontà di effettuare dette operazioni» (art. 35, comma 2, lett. E-bis);
- in relazione alla comunicazione della volontà di effettuare operazioni intracomunitarie «entro trenta giorni dalla data di attribuzione della partita IVA, l'Ufficio può emettere provvedimento di diniego dell'autorizzazione a effettuare le operazioni di cui al Titolo II, Capo II del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427».
Dunque
i soggetti che iniziano un'attività economica devono esprimere la
volontà di entrare a far parte del club VIES
(compilando il quadro I della dichiarazione di inizio attività),
mentre i soggetti già in attività devono presentare un'istanza
specifica presso qualsiasi ufficio dell'Agenzia delle Entrate secondo
quanto indicato nel Provvedimento n.
188381 del 2010. Ma cosa succede se la richiesta di inclusione viene
rifiutata dall'amministrazione fiscale? Non si può più operare se
non all'interno dello stivale? No di certo! La circolare 39/E
del primo Agosto 2011 chiarisce bene cosa succede se la partita Iva
del contribuente non è presente nell'archivio VIES:
«eventuali cessioni o prestazioni
intracomunitarie effettuate da un soggetto passivo non ancora incluso
nell'Archivio VIES
(o escluso a seguito di diniego o
revoca) devono ritenersi assoggettate
ad imposizione in Italia, con i
conseguenti riflessi, anche di natura sanzionatoria ai sensi
dell’articolo 6 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, qualora
l’operazione economica sia stata invece assoggettata al regime
fiscale IVA proprio della cessione/prestazione intracomunitaria
effettuata da un soggetto passivo.
Nel
rispetto dei principi di affidamento e buona fede del contribuente,
il
predetto trattamento sanzionatorio è comunque da ritenere non
applicabile per eventuali violazioni commesse prima della emanazione
della presente circolare».
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