L'assoggettamento
ad Iva delle prestazioni sanitarie trova il suo fondamento giuridico
autentico nell'articolo 13 della sesta direttiva 77/388/CEE che
statuisce: «Fatte
salve le altre disposizioni comunitarie, gli Stati membri esonerano,
alle condizioni da essi stabilite per assicurare la corretta e
semplice applicazione delle esenzioni previste in appresso e per
prevenire ogni possibile frode, evasione ed abuso: […] le
prestazioni mediche effettuate nell'esercizio delle professioni
mediche e paramediche quali sono definite dagli Stati membri
interessati». Un
testo sostanzialmente simile si legge anche nella cosiddetta
direttiva di rifusione 2006/112/CE.
Il
legislatore italiano ha recepito le indicazioni dell'UE con il
conosciutissimo articolo 10, comma 1, n. 18 del d.p.r. 633/1972 che
recita «Sono esenti
dall'imposta: […] le prestazioni sanitarie di diagnosi, cura e
riabilitazione rese alla persona nell'esercizio delle professioni e
arti sanitarie soggette a vigilanza, ai sensi dell'articolo 99 del
testo unico delle leggi sanitarie, approvato con regio decreto 27
luglio 1934, n. 1265, e successive modificazioni, ovvero individuate
con decreto del Ministro della sanità, di concerto con il Ministro
delle finanze».
Dalla
norma si evince che la prestazione sanitaria può essere esente
dall'applicazione dell'imposta quando sono soddisfatti allo stesso
tempo:
- il requisito soggettivo (la prestazione deve essere effettuata da chi esercita una professione ben definita dalla legge e soggetta a vigilanza);
- il requisito oggettivo (la prestazione resa deve tendere alla diagnosi, alla cura o alla riabilitazione).